Morte e Vita – Sap 1,13-15; 2,23-24 -XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Morte e Vita. Contesto

Morte e Vita. Pochi secoli prima di Cristo, Giobbe affermava:
«L’uomo che giace più non s’alzerà,
finché durano i cieli non si sveglierà,
né più si desterà dal suo sonno»
(Gb 14,12)

e, dopo di lui, il saggio Qoèlet era ancora convinto che
«la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa;
come muoiono queste muoiono quelli»
(Qo 3,19).

Fin verso la metà del II secolo a.C.,
tutti in Israele ritenevano che i morti vivessero
un sonno permanente nella «terra di tenebre e di ombra,
terra oscura come caligine,
regione di tenebre e di disordine,
dove il chiarore è simile alla notte buia»
(Gb 10,21-22).

Al tempo di Gesù la mentalità era tuttavia profondamente mutata.
Da una parte i sadducei sostenevano che la morte
segnava la fine di tutto,
ma la maggioranza del popolo condivideva la dottrina dei farisei
che al contrario credevano nella risurrezione dei morti.

Circolava comunque il detto:
«Il giorno in cui l’uomo muore
è migliore del giorno in cui è nato»,

infatti, non si festeggia il giorno in cui si inizia
un lungo e pericoloso cammino,
ci si rallegra piuttosto quando si conclude felicemente un viaggio.

Questa immagine dei rabbini è certamente suggestiva,
tuttavia non risponde alla domanda più inquietante:
«Perché si deve morire?».

Veniamo dal nulla, apriamo gli occhi alla luce
e ci innamoriamo della vita,
poi questa finisce in un soffio (Gb 7,7),
«passa come le tracce di una nube» (Sap 2,4);
una forza inesorabile e spietata ci afferra
e ci trascina di nuovo nel nulla,
nella polvere da cui siamo stati tratti.

Dio ci ha forse creati a sua immagine
e ha instaurato con noi un dialogo di amore
per poi esporci a questa beffa crudele?

Morte e Vita. Testo

Vediamo come la I Lettura,
composta di due minuscole unità,
tratte dal libro della Sapienza,
il cui autore visse ad Alessandria d’Egitto al tempo di Gesù,
dà la sua risposta al riguardo:
rifiuta questa prospettiva e, categorica, afferma:

«Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli ha creato tutto per l’esistenza;
le creature del mondo sono sane,
in esse non c’è veleno di morte,
né gli inferi regnano sulla terra…

Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità;
lo fece ad immagine della propria natura»
(Sap 1,13-14; 2,23).

La vita dell’uomo non è paragonabile
alle onde del mare che si innalzano e scompaiono
senza lasciare traccia del loro passaggio.
Dio infatti non può scherzare con l’uomo
come il vento gioca con le acque.

Se non da Dio, da dove viene allora la morte?
«È entrata nel mondo per invidia del diavolo»
risponde la nostra lettura (v. 24).

Un’affermazione indubbiamente sconcertante!
Dunque, se non avessero peccato,
gli uomini non sarebbero mai morti?

La scienza smentisce categoricamente questa affermazione.
La morte biologica certamente è sempre esistita:
l’organismo umano,
come quello di ogni altro essere vivente,
col passare degli anni, si indebolisce,
si logora, e conclude il suo ciclo.

Non è questa dunque la morte
che incuteva paura al pio israelita del tempo di Gesù.

Il giusto sapeva di essere destinato alla vita;
la sua morte, nel libro della Sapienza,
è infatti definita «partenza», «liberazione»,
«trasferimento» nel riposo di Dio,
«esodo» dalla schiavitù alla libertà,
per questo motivo non era temuta.

Il passaggio a una vita migliore
non poteva infatti essere ritenuto un castigo.

Quale morte è stata dunque introdotta dal peccato?
Il versetto che precede il nostro brano ci aiuta a capire:
«Non provocate la morte con gli errori della vostra vita,
non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani»
(Sap 1,12),

Ecco chi provoca la morte: il peccato.
Chi alimenta l’odio, si vendica, è violento,
chi conduce una vita immorale,
anche se gode di ottima salute,
ha distrutto la parte migliore di sé.

La I Lettura di oggi inoltre conclude:
«Fanno l’esperienza della morte
coloro che stanno dalla parte del diavolo»
(v. 24).

Non è dunque della morte biologica che si sta parlando,
questa è chiaramente un evento, non un male assoluto.

L’uomo muore realmente solo quando cessa di amare,
quando si ripiega su se stesso e diviene egoista,
si allontana da Dio e dalla sua sapienza che indica
il «cammino della vita» (Prv 13,14),
che è «sorgente della vita» (Prv 3,18).

Chi introduce in questa condizione di morte è il diavolo,
è la forza maligna,
presente in ogni uomo
e che allontana dal Signore.

Conclusione

L’autore del libro della Sapienza
mostra di aver assimilato bene il messaggio biblico.

Nei libri santi d’Israele si riafferma continuamente
che chi sceglie il peccato decreta la propria morte:

«Vedi – dice Mosè al popolo –
io pongo oggi davanti a te la vita e il bene,
la morte e il male;
io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio,
perché tu viva…

Ti ho posto davanti la vita e la morte,
la benedizione e la maledizione;
scegli la vita, perché viva tu e la tua discendenza»
(Dt 30,15-20).

Foto: Risurrezione di Gesù / facebook.com

Dio e l’uomo – XII TO – Gb 38,1.8-11 – Anno B

Introduzione

In tutti i miti della creazione dell’antico Medio Oriente
si racconta il drammatico conflitto fra Dio,
promotore dell’ordine e della vita,
e Yam, il mare, mostro spaventoso che,
scatenando la sua straripante potenza,
cercava di mantenere nel mondo il caos e la morte.

Il mare assurse così a simbolo dei forze negative,
contrarie alla vita, nemiche dell’uomo.

Pertanto non desta meraviglia che la Bibbia,
formatasi in questo ambiente culturale,
abbia conservato, in alcune sue pagine,
il ricordo di questo mito.

Infatti già nel primo capitolo della Genesi
parla di una massa informe e disabitata,
di un abisso avvolto dalle tenebre (Gn 1,2)
sul quale Dio interviene al fine di mettere ordine,
separando la luce dalle tenebre,
l’acqua dalla terra ferma
e le acque dolci dalle acque salate.

Rispetto agli dèi che operano nei racconti dei popoli della Mesopotamia,
il Dio della Bibbia mantiene però un comportamento del tutto originale.

Infatti non è mai coinvolto
in un combattimento accanito contro il mostro marino,
ma si impone senza sforzo,
attua ricorrendo alla sua parola,
egli «parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 33,9).

Stupito di fronte a questa sorprendente vittoria, il salmista canta:
«L’oceano avvolgeva la terra come un manto,
le acque coprivano le montagne.
Alla tua minaccia sono fuggite.
Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno,
non torneranno a coprire la terra»
(Sal 104,5-9).

Il dominio di Dio sul creato si rivela totale e perfetto,
perché «domina l’orgoglio del mare
e placa il tumulto delle acque»
(Sal 89,10).

Il suo potere incontrastato appare soprattutto
durante la notte della liberazione dall’Egitto, quando
«risospinse il mare con un forte vento d’oriente,
rendendolo asciutto; le acque si divisero…
e divennero per gli israeliti una muraglia a destra e a sinistra»
(Es 14,21.29).

La prima lettura

Su questo tema, la I Lettura di oggi
ci propone un breve brano tratto dalla risposta di Dio a Giobbe
che pretendeva una spiegazione al grande enigma del dolore.
«Dov’eri tu – gli chiede il Signore –
quando io ponevo le fondamenta della terra?
Dillo, se hai tanta intelligenza»
(Gb 38,4).

È soprattutto l’invito a prendere coscienza
della propria condizione di creatura,
limitata nel tempo e nello spazio,
incapace di penetrare nei grandi misteri dell’universo.

Poi, sempre rivolto a Giobbe,
Dio continua ricordando come, quasi per diletto,
assunse il pieno controllo delle acque primordiali
che minacciavano di sovrastare gli altri elementi.

«Collocai – dice – il mare al suo posto,
fissai per lui confini invalicabili,
chiusi le porte con chiavistelli
in modo che non potesse più uscire a riportare il disordine;

lo privai di tutta la sua mostruosa energia di morte;
immobilizzai il mare circondandolo di nubi come di una veste
e lo avvolsi, come se fosse un neonato,
con fasce di caligine folta
(v. 9);

poi gli impartii un ordine perentorio:
“Fin qui giungerai e non oltre.
Qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde”»
(v. 11).

Commento1

Il messaggio di questo testo è evidentemente che
Dio vuole far quasi toccare con mano all’uomo
la sua finitezza e indurlo ad affidarsi a lui
e a riconoscerlo nelle tracce del suo amore
e della sua potenza, così largamente diffuse nella creazione.

È una lezione che attraversa tutta la Bibbia,
dalla Genesi all’Apocalisse,
e che non deve essere fatta cadere

soprattutto oggi in cui l’uomo,
diventato «maggiorenne», o illuso di essere tale,
tende ad accantonare Dio
e a ritenerlo un’«ipotesi di lavoro, forse anche inutile»:

tutto si spiegherebbe per l’autonoma «razionalità»
insita nelle cose e nei fenomeni della natura,
che l’uomo ormai sarebbe in grado
di padroneggiare a suo piacere!

Scoprire Dio nella creazione e nella propria vita
è il primo passo del nostro incontro con lui,
anche se non l’unico!

Commento2

Ma c’è un altro messaggio meno appariscente,
tuttavia prezioso e importante.

Come non bastassero le nostre domande,
ci sono anche quelle di Dio,
cui veniamo provocati a rispondere.

L’uomo chiede spiegazioni a Dio.
E Dio, a sua volta, domanda spiegazioni all’uomo.
L’uomo protesta, si lamenta,
rimprovera il Signore per le sue assenze.

E Lui replica: «Perché siete così paurosi?».
La creatura vorrebbe costringere il Signore a giustificarsi.
E Lui ci obbliga a dar conto della nostra fede:
«Non avete ancora fede?».

L’errore fondamentale del presunto credente
è quello di non accettare la sproporzione.
Ridurre Dio alla nostra portata.
Trattare da pari a pari con Lui.

Paolo (II Lettura) definisce questo atteggiamento
come «conoscenza di Cristo secondo la carne».

Per cui vogliamo inquadrarlo nei nostri schemi,
imprestargli le nostre aspirazioni temporali,
imporgli le nostre misure,
fargli adottare (e perfino eseguire) i nostri programmi,
fargli sposare le nostre cause.

Dio, però non ci sta.
Lui sta sull’altra riva dell’abisso. Inafferrabile.
E quanto più si fa vicino,
tanto più è irraggiungibile.
Quanto più si manifesta, tanto più è nascosto.
Quanto più dialoga con la creatura,
tanto più questa capisce di non essere in grado di capire.

Sorge tuttavia il sospetto
che Dio non ci proibisca di porgli delle domande.
Una fede tutta punti esclamativi e punti fermi,
che elude i più tormentosi punti interrogativi,
non è una cosa seria, dà l’idea di una recita, una finzione.

Le domande servono a noi,
per fare chiarezza nella nostra vita,
per trovare il senso del cammino.

Ma, paradossalmente,
le domande che ci aiutano a percorrere un itinerario di fede,
a fare un po’ di luce,
sono proprio quelle che non ottengono risposta,
che non hanno risposta.

Dio è d’accordo che sgraniamo il rosario dei nostri perché,
dipaniamo la litania delle nostre questioni,
perché possiamo approdare così al silenzio, all’adorazione.

Ma affermare che Dio ci conduce al silenzio adorante
non vuol dire che ci chiude la bocca.
Piuttosto, attraverso il silenzio, ci apre al mistero.

Foto: Michelangelo Buonarroti, La creazione di Abramo,
Cappella Sistina, Città del Vaticano / zebrart.it