Domande da abitare – L’itinerario artistico e interiore di Simone Cristicchi

La fragilità che nasce da un dolore può diventare una grande forza. Un’energia interiore che ci spinge a trovare la strada per camminare e per crescere

di TULLIA FABIANI

Fare di una ferita una feritoia. La differenza sta qui: in questo passaggio stretto che può durare una vita e nel frattempo cambiarla, in modi e tempi imprevedibili. Ma essenziali. Come essenziale è quella “felicità faticosa” guadagnata giorno per giorno, tornando a guardare le piccole cose che fanno meraviglie. Questa la cura sperimentata da Simone Cristicchi cantautore, disegnatore, autore e interprete di spettacoli teatrali, artista poliedrico restio a ogni categorizzazione; questo lo sguardo di chi in un “giorno sospeso” ha perso certezze, fiducia, speranza e orizzonte, scoprendo che perdere un padre è perdere anche se stessi; appena adolescente ha vissuto lo smarrimento del dolore sordo, indicibile e profondo, per poi scoprire di poter continuare a vivere nonostante le ferite e grazie a esse, diventando giorno dopo giorno un uomo.

«Mi chiudevo in camera giornate intere e disegnavo in maniera quasi compulsiva. Era la mia via di fuga» scrive Cristicchi in un libro-diario scritto con il giornalista Massimo Orlandi, Abbi cura di me, e pubblicato dalle Edizioni San Paolo (pagine 224, curo 18) il cui titolo richiama quella della raccolta discografica e quello del brano con cui ha partecipato al Festival di Sanremo lo scorso febbraio. «La fragilità che nasce da un dolore può diventare la grande forza che ci spinge a trovare la strada per camminare, per crescere. Attraverso il disegno io ho cominciato a trasformare quel dolore in un’energia positiva. La mia ferita è diventata così una feritoia, e le mie lacrime gocce di arcobaleno». È quel terremoto che “ha ribaltato la sua vita” scrive Massimo Orlandi: «Simone si muove tra quelle rovine e non riconosce più nulla. Il mondo non è più casa sua».

Comincia allora un percorso umano e artistico – dal disegno, alle parole, alla musica – tortuoso, accidentato, segnato però da eventi provvidenziali: poche pianure, molte salite, false partenze e arrivi imprevisti. Come il successo arrivato, dopo anni di tentativi e sperimentazioni, con un pezzo scritto per caso durante una serata che cambierà la sua vita, «quando depresso sta sprofondato su un divano guardando la televisione e vede Biagio Antonacci in concerto. Si inventa un motivetto ironico – racconta Orlandi – per contrastare l’amarezza che ha dentro, e indossa i panni dei ragazzi in estasi sul prato di San Siro, “vorrei cantare come Biagio Antonacci / Vorrei pesare come Biagio Antonacci / Firmare autografi alle fan, riempire i palasport / E fare quello che fa Biagio Antonacci”. Il brano, inciso di corsa, diventa il tormentone dell’estate 2005. E Simone Cristicchi un cantautore famoso, pur se in modo paradossale, perché non sente di avere espresso niente di lui, niente di quello che davvero vuole esprimere. E che da tempo cerca di trasmettere in musica e parole».

Ecco la svolta. Che non coincide però con una vera e propria pacificazione interiore, né con un appagamento artistico. Anzi. Con quella imprevista celebrità certamente Cristicchi si è trovato a fare i conti: da un lato le case discografiche e le loro visioni di mercato; dall’altro la sua anima inquieta, affamata di verità. «Dietro ogni pieno di creatività c’è un vuoto», afferma il cantautore. E lui quel vuoto sente di non poterlo colmare solo con canzoni fortunate che scalano classifiche. Il pieno di creatività lo porta a cercare altro; a frequentare fonti di ispirazione marginali, per lo più lontane da riflettori accesi. «L’incontro con i matti e l’amicizia nata con molti di loro è per lui esercizio permanente di autenticità». Da questi incontri impara, ad esempio, che «la follia è questo andare avanti e indietro sul nastro della vita e non riuscire più a sentire la propria voce». Una voce come quella di Alda Merini che nella vita di Simone diventa “un filo disordinato”; un rapporto «fatto di lunghi silenzi e di repentine telefonate, a volte solo per sentire una voce amica, a volte per condividere una poesia» scrive Orlandi.

«In questi dieci anni di carriera – annota Cristicchi – ogni mio viaggio è iniziato da un silenzio: dalle mura degli ex manicomi, alle vecchie miniere abbandonate, dai silenzi degli anziani, dei reduci della guerra, fino agli armadi della vergogna del nostro Paese, quei luoghi dove gli oggetti hanno le voci potenti del ricordo».

Uno di questi silenzi lo porta alla ribalta, ancora una volta in modo inatteso, nel 2007, vincitore della 57a edizione del Festival di Sanremo con il brano Ti regalerò una rosa (premiato anche dalla critica e dalla sala stampa). Mentre altri silenzi lo hanno portato a scrivere Magazzino 18, la storia di un luogo simbolo del drammatico esodo avvenuto nel secondo dopoguerra dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia; una storia ispirata «dagli oggetti lasciati 70 anni prima da un popolo in fuga». Una pagina, quella degli esuli istriani, non solo a lungo dimenticata, ma «sempre letta in maniera strumentale sia a destra che a sinistra». Così Cristicchi fa del ricordo e della memoria condivisa una forma di resistenza da vivere in ogni ambito artistico: dal teatro di narrazione alla musica. I silenzi da cui si lascia felicemente ispirare (anche quelli spirituali cercati negli eremi monastici), i luoghi del cuore, come Trieste, o la Fraternità di Romena, dove va «per abitare le proprie domande», le ritualità quotidiane della sua amata famiglia, la moglie Sara e i due figli, sono il carburante per il suo cammino. È un antidoto agli effetti collaterali del successo «che ti porta a essere bulimico, più ne hai e più ne vuoi, e diventa un’ossessione».

Cristicchi, da quel triste «giorno sospeso» ha fatto tanta strada per non restare a girare su se stesso. Né nel dolore privato e muto, né nel piacere narcisistico di un grande successo. «Non è che sono cambiato io; sta cambiando il mio modo di guardare la vita». Con un atto di affido: «Abbi cura di me» ha scritto, cantato, pregato. Perché «non siamo al mondo per essere perfetti ma per essere veri». E dalle feritoie entrano aria e luce.

Tullia Fabiani, «Domande da abitare. L’itinerario artistico e interiore di Simone Cristicchi», in “L’Osservatore Romano”, giovedì-venerdì 2-3 gennaio 2020, p. 4.

Foto: Copertina di «Abbi cura di me» / gruppoeditorialesanpaolo.it

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